mercoledì 2 giugno 2010

Una nuova storia della Vecchia Frontiera - Mohican, di Paolo Morales e Roberto Diso, Romanzi a fumetti Bonelli n.4


Non è importante cosa si scrive ma come lo si scrive. In generale questa è una buona regola, anzi ottima. Purché non venga intesa in modo assoluto. Nel caso di James Fenimore Cooper vale se mai il contrario: lo scrittore americano può non brillare per l’eleganza dello stile e la profondità dell’analisi psicologica, ma in compenso con  L’ultimo dei Moicani ha firmato uno dei romanzi fondamentali per l’immaginario moderno. Non perché esso presentasse delle novità, questo è chiaro, ma perché si può ben dire che da qui abbia inizio l’epopea dell’America come frontiera dell’immaginario dei nostri tempi; da qui prenderà le mosse anche l’epopea western che tra la pagina stampata e in seguito la pellicola cinematografica informerà di sé la cultura popolare (e non solo) del XIX e XX secolo. E, perché no, anche del XXI. Ne dà prova Mohican, mostrando come esso sia in grado oggi di stimolare un’opera che coniuga in modo perfetto l’avventuroso classico e un’interpretazione moderna delle storie d’avventura. Che il volume di Morales e Diso sia poi debitore in questo anche del film diretto da Michael Mann nel 1992 non cambia le cose, poiché la pellicola è stata probabilmente il frutto più maturo e irripetibile dell’elaborazione sul romanzo cooperiano, e Morales si spinge un po’ oltre, non solo mettendo a punto un sequel del libro ambientato nel 1778 all’epoca della Guerra d’Indipendenza, ma perché la sua aggiunta è tanto in armonia con esso quanto ne rappresenta un aggiornamento operato in sintonia con il nostro bisogno di non fermarci alle apparenze, per scavare all’interno delle storie che hanno costruito la moderna mitologia che ci ha accompagnato negli ultimi due secoli.

Che Morales si prenda qualche licenza storica non riveste granché importanza: lo stesso Cooper non si era peritato di usare come modello del suo ultimo moicano,Uncas, quel primo dei Mohegan, Uncas appunto, vissuto nel secolo precedente quello nel quale egli aveva ambientato il suo romanzo. Uncas che era stato fondamentale perché tra la prima e la seconda metà del XVII secolo i coloni inglesi potessero sopraffare le tribù indigene della costa orientale, e il cui alcoolismo in tarda età Morales pare richiamare qui nel suo Chinachgook. E’ allora funzionale alla storia scritta dall’autore romano che il capo Mohawk Thayendanegea - che nella seconda parte di Mohican si presenta come un antagonista perfetto, sia drammaturgicamente che psicologicamente, di Nathanael Bumppo e del suo padre adottivo Chingachgook - venga fatto morire una trentina d’anni prima che nella realtà. Così come una licenza anche maggiore Morales e Diso se la concedono nella caratterizzazione estetica e psicologica del leader irochese, che noto forse ancor più con il suo nome “bianco” di Joseph Brant fu una complessa personalità di uomo al confine tra due culture. Il Brant/Thayendanegea storico, all’epoca in cui Morales ambienta Mohican si era probabilmente già convertito alla Chiesa Episcopaliana e divenuto frammassone, e fu uomo colto, amante della civiltà europea e traduttore nella sua lingua delle sacre scritture.

Ma naturalmente a Natty Bumppo e Chingachgook serviva un antagonista truce, non un uomo, seppur d’armi, civilizzato ;-).

Il merito maggiore del mio concittadino Morales sta nell’aver scritto una storia che dalla prima all’ultima pagina non è mai scontata, e dalla prima all’ultima pagina esprime pathos, ritmo, emozioni.

Lo strumento attraverso il quale è stato conseguito un tale risultato è l’aver dato vita a personaggi di profondità davvero insolita per una storia avventurosa. Storia che nella sua essenza è elementare: Bumppo e Chingachook guidano un uomo e due donne all’accampamento del generale Washington, in un viaggio che dura un paio di settimane.
Paolo Morales, in una posa che trasmette carisma e sintomatico mistero ;-)

Il lavoro forse più ingrato e meno appariscente è quello fatto sui due personaggi mutuati dalla storia progenitrice. Morales tratteggia con sottigliezza e accortezza un Nathanael che appare la quintessenza dello spirito americano: un generoso ribaldo, un avventuriero con un codice d’onore spietato e un uomo pronto di spirito e a cogliere le occasioni. Ma è soprattutto sull’uomo che Morales compie il lavoro meno spettacolare e più difficile, abituando passo passo noi lettori a guardare al di sotto di queste caratteristiche così evidenti (e ben rese) per cogliere la sfera psicologica più intima del personaggio, quella dove la sua tenerezza riesce a non apparire incongrua con la freddezza del frontierman deciso ed efficiente, e dove la lealtà completa in piena umanità la durezza dell’uomo abituato a combattere per la propria vita armi in pugno. Ancora più arduo è forse stato dire qualcosa di nuovo su Chingachgook. L’anziano indiano, di cui Morales ci mostra la morte, non compie nella storia un banale percorso di redenzione dall’alcoolismo, riscattandosi con il valore delle armi; ci mostra invece un personaggio di rara complessità, perfettamente consapevole della sua appartenenza a un popolo diviso e sconfitto, eppure tutt’altro che disilluso dalla vita o sconfortato. E’ un uomo che non ha mai smesso di soffrire per il figlio Uncas, morto vent’anni prima, e di preoccuparsi per quel figlio adottivo bianco che da allora rifiuta di continuare a chiamarlo padre – ma torna a farlo quando il vecchio muore. E’ un uomo che conosce la propria collocazione nella vita e nella natura, ma non nella Storia, probabilmente. Andando oltre i cliché drammatici più sperimentati, Morales ri-costruisce ex novo i due personaggi, con la fedeltà dell’interprete e il coraggio dell’innovatore.  

L’agio di inventare personaggi propri non sminuisce l’abilità con la quale Morales ha affiancato le altre figure del volume ai due personaggi cooperiani. Dicevo come questa storia non appaia mai scontata; l’autore romano riesce nell’impresa facendo sì che la sofferta vicenda umana e psicologica del pastore mennonita Peter Miller e delle due donne della sua comunità che lo accompagnano, Annabeth e la figlia di lei Greta,  emerga in tutta la sua stratificata e sfaccettata laboriosità lungo tutto il corso del racconto. Facendo sì che le contrapposizioni tra tutti i personaggi – caratteriali e filosofiche; etiche e religiose; umane, sociali e civili – appaiano seguire gli accomodanti sentieri dello stereotipo per divergerne poi ogni volta. E ogni volta in modo inaspettato. E perfettamente logico e coerente con la narrazione.

L’interazione dei tre tra di loro, e con la coppia formata da Natty e il suo padre adottivo, è il nucleo emotivo e narrativo che permette a Morales di raccontarci tutta la complessità dell’animo umano. E di farlo con apparente facilità. Il chiaroscuro nel quale egli risolve la questione di questo nostro animo non ha margine di ambiguità, poiché si tratta di un chiaroscuro del tutto trasparente, che prende atto del fatto che gli esseri umani, nella loro tortuosità, pure sono lineari. Peter Miller è certamente un fanatico ottuso, ma questo non esclude la sua straordinaria magnanimità; come neppure il fatto che questa stessa magnanimità convive con una meschinità che ci lascia sconcertati: il suo comportamento nei confronti di Annabeth può apparire perfino crudele. Eppure a conclusione dell’albo la percezione è che non vi siano contraddizione né ambiguità nei suoi comportamenti, perché tutti li percepiamo come indubbiamente suoi. Pari attenzione a uno sviluppo coerente e meditato Morales la pone nel conflittuale rapporto d’amore tra Nathanael e Greta, che ugualmente sottrae allo stereotipo del contrasto tra il Grande Cacciatore Bianco e la Vergine Timorata di Dio per mostrare l’instaurarsi di un vincolo umano autentico, maturo e difficile. Così come in quel triplo sottotraccia doloroso, che affiorerà infine con violenza, che è l’amore di Annabeth per il pastore, il frastagliato legame madre-figlia di Annabeth e Greta e il risentimento di quest’ultima per l’uomo.

Né Morales pone una minor cura nel delineare i personaggi secondari che si affacciano alle pagine di Mohican. Basti soffermarsi sull’irriverente ritratto di Onida, la ragazza indiana di Natty la cui impertinenza e acutezza illuminano le prime pagine della storia, e che si riflettono in quel finale tra ironia e parodia nel quale irrompe sulla scena lo stesso James Fenimore Cooper.
Autoritratto di Roberto Diso

Infine, questo quarto volume dei cosiddetti “Romanzi a fumetti” della Sergio Bonelli Editore ci riconsegna il talento grafico di Roberto Diso. Lasciato il personaggio di Mister No che aveva rappresentato la sua consacrazione e al quale aveva fornito l’interpretazione definitiva, Diso era finito a immiserirsi su alcune pessime sceneggiature di Claudio Nizzi per Tex, che apparvero disegnate di conseguenza. A settantotto anni il suo tratto non può essere brillante come quando oltre trent’anni fa iniziò a lavorare sul personaggio di Guido Nolitta, però Mohican restituisce un disegnatore che padroneggia il dinamismo come un tempo, che fornisce ai personaggi una fisicità che sembra esplodere sulla pagina e che ne dà un’interpretazione in sintonia con la storia e lo scenario naturale. Ci restituisce il disegnatore della natura, che di quegli scenari ha sempre fatto il suo personaggio migliore e caratterizzante. Spero davvero di poter vedere su Tex un Diso così, sperando che possa finalmente esprimersi su una sceneggiatura all’altezza.

Spero anche di poter vedere Paolo Morales un giorno su Tex – ma solo se dovesse stancarsi di Martin Mystère, sia chiaro ;-). O al limite come vacanza momentanea.



6 commenti:

  1. Eh, giusto stamattina mi chiedevo se fosse il caso ma senza, infine, risolvermi all'acquisto. Eccesso di prudenza, a quanto leggo. ;-) Rimedio domani.

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  2. Bravo come sempre, Vince
    Ci manchi ;)

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  3. Caro PaolOtto, grazie! Tu manchi da molto più tempo di me, sappilo :-). A parte gli scherzi, la lista mi manca per molti versi, ma per tanti motivi era tempo di cambiare, e i cambiamenti o sono radicali o non sono. Any way, la rete è più della lista, o almeno più vasta, e infatti siamo qui :-).

    Dovrei aggiornare il blog, ma ultimamente ho letto pochissimi fumetti. E pochissima narrativa in generale, vado nutrendomi di saggi sugli argomenti più disparati.

    La discendenza come sta?

    Un abbraccio!
    V.

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