sabato 19 giugno 2010

Essi sono tra noi – Red Meat di Max Cannon


Non ce ne accorgiamo, ma sono tra noi. Non ce ne accorgiamo perché sono così simili a noi. O forse, ed è una prospettiva che dovrebbe agghiacciare il sangue nelle nostre vene, noi siamo così simili a loro. I personaggi di Red Meat, il fumetto di Max Cannon che in Italia è presentato settimanalmente sulle pagine di Internazionale.

Siamo simili a loro ma non abbiamo il loro coraggio di vivere la follia e la nostra vera natura apertamente, con tutte le sue aberrazioni. E’ probabilmente un bene, perché in caso contrario la nostra realtà (mentale) collasserebbe, proprio come è una realtà collassata, ovvero privata di punti di riferimento, la realtà di Red Meat.

Più correttamente, il mondo e la vita che vediamo nelle strip di Max Cannon sono il nostro mondo e la nostra vita privati delle maschere e degli abbellimenti delle convenzioni sociali e dell’ipocrisia di tutti i giorni. Sono i pensieri che fatichiamo a confessare anche a noi stessi; e anzi, che più probabilmente nascondiamo soprattutto a noi stessi, relegandoli quanto più in fondo possiamo nella nostra psiche.



Il mondo del Lattaio Dan, di Ted, di Karen, di Earl – per citare solo alcuni dei personaggi principali – è il nostro mondo osservato attraverso le lenti di occhiali magici che rivelino la realtà come essa è e non come appare. Un mondo che a noi, immersi nelle illusioni rituali del quotidiano, appare surreale. Come i dialoghi tra i personaggi, attraverso i quali Max Cannon ci guida per mano alla scoperta della realtà psicotica e psicogena del nostro mondo. E’ un corso severo di rieducazione, però salutare ;-).

La cifra surreale racchiude l’intera creazione artistica di Red Meat, questa “Carne rossa” disegnata in uno spartano, acido bianco e nero. Le immagini bloccate in una fissità da vecchie istantanee trasmettono un sottile disagio; mentre l’assenza quasi totale di sfondi concorre a creare l’atmosfera di completa sospensione della realtà, che rivela la realtà più nitida, di più fine risoluzione che giace al di sotto della ricopertura del mondo attorno a noi. Red Meat si spoglia di tutti gli orpelli dell’arte del fumetto per mostrarne il cuore: la trappola che abbiamo costruito per noi stessi, quella struttura sociale in cui costringiamo a vivere l’animale solitario che siamo, e la natura di alienati che ne abbiamo ricavato.



Le caratteristiche del disegno di Cannon e l’abilità chirurgica di cui si serve nelle costruzioni verbali che mette in bocca ai suoi personaggi potrebbero far pensare a un maggior peso della componente testuale nell’economia del fumetto, ma non è così. I dialoghi scritti da Cannon, come i soliloqui (se al minimo Earl è inquietante, nelle sue strisce più riuscite può essere davvero destabilizzante), sono amplificati nel loro effetto sul lettore dallo stile grafico adottato. La realtà del lettore (quella realtà al quale è abituato e che per lui è una calda coperta di Linus) si frantuma perché Max Cannon la priva dei suoi elementi vitali e cognitivi, la svuota, letteralmente, dei suoi oggetti e del movimento; per poi riconfigurarla riempiendola di uno spazio che è vuoto e quindi non offre elementi di distrazione (né appigli per la sanità mentale) e che costringe il lettore a focalizzarsi in modo completo (e ossessivo) sulla realtà delle figure con cui l’autore integra il suo fumetto: i suoi personaggi in fermo immagine nella cui follia e incontinenza verbali si sostanzia l’alienazione di quello spazio deserto. Essi sono dunque il software umano di questo hardware fisico privato della sua materia e sintonizzato su quella più fine realtà soggiacente cui accennavo prima.



In oltre vent’anni la striscia ha ospitato numerosi personaggi, ma quelli principali e più ricorrenti sono un ristretto manipolo scelto. Un campionario di personalità distorte, e per questo “perfettamente” inserite nella società e nel lavoro. Essi sono tra noi e sono noi, solamente non portano la maschera che portiamo noi addosso. 


Ted Johnson, che può essere considerato il più importante, è una sorta di feticista con propensioni sadiche, ma questo non gli impedisce di avere moglie e un figlio, che Ted educa in modo non esattamente montessoriano; del sadismo di Ted fa le spese di frequente il povero Johnny Lemonhead, ingenuo e cortese esemplare di timido, vittima quintessenziale della malizia altrui in virtù della deformità fisica illustrata dal suo stesso nome, e il solo personaggio della striscia che ci appaia come un “buono”. Sin dalla rappresentazione grafica che Cannon ne dà, con quegli occhi bulbosi e schizzati, Earl si presenta invece come il personaggio emblematico di Red Meat: gli apologhi sconnessi, disturbanti, spesso francamente schifosi che Cannon gli mette in bocca sono il paradigma della nostra realtà decostruita e ricostruita secondo le coordinate del fumetto; la solitudine alienata di Earl è la nostra insana solitudine interiore indotta da una società paranoica. Il Lattaio Dan è un genuino esemplare di sociopatico; sono da antologia i suoi confronti con Karen, una bambina che angaria continuamente (e che ricambia odiandolo di cuore e alla bisogna dimostrandosi molto “creativa” nel suo odio) spingendosi ad ucciderle gli animali domestici (non che ad altri personaggi vada meglio).



Tra i personaggi minori, oltre al già citato figlio di Ted, William, è da ricordare almeno Papa Moai, una sorta di superiore essere che vive tra le dimensioni, ma che nella realtà sembra avere interessi e bisogni più terra terra.        

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