sabato 15 maggio 2010

Per me si va per la città dolente (...) - Caravan n.1, di Michele Medda e Roberto De Angelis

Per me si va per la città dolente, per me si va nell' etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.


Poco meno di un anno fa di questi tempi, usciva in edicola il primo albo di Caravan. Prima di approfondire in base alle considerazioni sollecitatemi dalla rilettura dell’albo dopo la conclusione della serie qui di seguito metto quelle sparse che mi vennero allora.

Il Berardi di Julia ha introdotto la normalità nei fumetti bonelliani; personaggi qualunque che realmente vivono vite qualunque e fanno cose qualunque: Julia compresa. Certo, il condimento di indagini e analisi criminologiche è inevitabile, ma in genere la cosa non dà troppo fastidio :-). Del resto, l'avventura in primo luogo, e tutte le sue varie ancelle a seguire (il mistero, l'arcano, la fantasia variamente declinata), rappresentano il nucleo classico della lezione bonelliana.

Medda applica entrambe in modo ottimale, e così Il cielo su Nest Point risulta non solo una lettura piacevole, ma ancor più una lettura stimolante. Stimolante perché non ci sono "effetti speciali" a stimolare artificialmente la fantasia del lettore, che invece è sollecitata naturalmente dall'accorta costruzione di eventi e personaggi: credibili (credibili anche gli eventi incredibili) e accurati. Stimolante perché un gioco di ricerca di possibili riferimenti (letterarii e non) è possibile e avvincente, ma non ha nulla del pacchiano esibizionismo ad uso dei fan, dell'orgia di riferimenti referenziali (alla fin fine soltanto autoreferenziali) di troppi fumetti degli ultimi tempi. L'appassionato di fantascienza, magari sbagliando, può rintracciare lontane eco del classico di John Wyndham The Midwich Cuckoos; cogliere risonanze forse più vicine di
The Day the Machines Stopped di Cristopher Anvil; e non riesce a sottrarsi alla suggestione di The Andromeda Strain di Michael Crichton, autore molto amato da Medda.

L'apertura della serie sembra promettere una narrazione che fluirà in modo continuo, dando ragione del termine "miniserie", pur rendendo possibile il cogliere i singoli blocchi rappresentati dagli albi. Anche questa è una soluzione ottimale.

L'albo introduttivo svolge in pieno il suo compito, squadernando nelle 94 pagine tutte le premesse e, presumibilmente, i personaggi centrali della serie, o quanto meno quelli che avranno parti di maggior rilievo. Lo fa con naturalezza, dicevo, senza spingere sull'acceleratore di improbabili colpi di scena (nel senso: i colpi di scena che ci sono avvengono come fossero eventi sì eccezionali e
drammatici, ma non artificiosamente drammatizzati). Lo fa con rigore: la sceneggiatura non presenta sbavature o cali di tensione, e i differenti registri, dal drammatico al familiare alla commedia o quasi, si succedono con armonia.

De Angelis si scrolla via la noia dei suoi ultimi anni di Nathan Never e dell'ingiovibile texone che ebbe la ventura di disegnare e consegna tavole di grande realismo scenico, ricche di dettagli e che "raccontano" al lettore una storia emozionante e ricca di pathos. Tavole per le quali può far uso di una "gabbia" bonelliana liberata dalle sue rigidità in eccesso e adattata, plasticamente viene da dire, alle esigenze narrative.
A Roberto De Angelis piace far mostra di sintomatico mistero ;-)

A molti parve che in quel primo albo accadesse poco, o comunque non abbastanza. Eppure…

Qui si sono poste le premesse della storia, si sono presentati i personaggi. A voler vedere, è successo molto: un mondo che ci è stato presentato nella sua quotidianità, nella sua stabilità, nella sua realtà - che è la nostra realtà - è stato fatto a pezzi per motivi sconosciuti. La vita di quei personaggi che ci sono stati fatti veder vivere una vita ordinaria e usuale, è stata stravolta, non c'è più.Certo, se per "è successo qualcosa" intendiamo è successo qualcosa di definitivamente compiuto, allora questo non è avvenuto: non ci è stata narrata nessuna storia in modo conclusivo. Per fortuna, altrimenti avremmo la solita finta miniserie alla Brad Barron. In fondo, non c'è stato “spiegazionismo bonelliano” (…).
Pagina 64

Trascorso il tempo, terminata la serie, queste considerazioni sono in parte confermate e in parte superate. In meglio.

Rileggere l’albo alla luce della miniserie compiuta comporta l’aggiungere delle considerazioni a quelle svolte a caldo sull’albo conclusivo (http://vincenzooliva.blogspot.com/2010/05/impressioni-caldo-su-caravan-n12-i.html).

Diversi paragoni e parentele nobili sono stati avanzati in questi giorni, da Gadda e Friedrich Dürrenmatt a Hector G. Oesterheld, tutti pertinenti se se ne fa una questione di eccellenza letteraria, meno se si cercano affinità strutturali - salvo per Oesterheld: è innegabile che Caravan utilizzi, rarefacendole, le metafore di partenza e strutturali dell’Eternauta: l’evento “naturale” eccezionale; la quotidianità umana e familiare fatta a pezzi; l’incombenza della minaccia, la cui istanza ultima non si materializza mai; eccetera. Ricombinandosi, qui e lì il tutto, in una rappresentazione metaforica ma fedele della nostra realtà personale e sociale.

Taluni paragoni (Gadda e Dürrenmatt) non appaiono pertinenti se parliamo di scardinamento dei generi. La fantascienza - ammesso che Caravan lo sia - non è un genere, checché ne pensino gli ingenui: non ha regole canoniche riconoscibili né tanto meno riscontrabili o anche solo ipotizzabili. Non può esserlo, perché è una particolare modalità del narrare, tra realismo e fantastico: la fantascienza non ha regole fisse come può averne il giallo (o anche il noir). Coltivo un'idea visuale della fantascienza. Ci sono questi due cerchi, la narrativa realistica e quella fantastica, parzialmente sovrapposti. La fantascienza è quell'area di sovrapposizione. Per questo, alla fine, dico che sì, Caravan è fantascienza. Di quella specie che Harlan Ellison definisce meglio come speculative fiction, tanto per NON complicare le cose :-). I confini commerciali tra mainstream e fantascienza si sono fatti oggi più labili, ad esempio Richard K. Morgan è pubblicato in canali del tutto "normali", come Tullio Avoledo. E nessuno ha parlato di fantascienza per il ciclopico Il quinto giorno di Frank Schätzing, che è fantascienza pura. Insomma, volendo incasellare Caravan, mi pare fantascienza, e mi pare tranquillamente "commerciabile" come mainstream.

Però Caravan scardina realmente qualcosa. Scardina certe
convenzioni bonelliane che a volte sembrano ferree. A partire dalla
più ferrea di tutte. Certo, in Caravan si può dire che si viva un’avventura, pure questa non ha nulla di avventuroso. Ne mancano i
cardini sine quibus non: l'eroe; il viaggio come percorso di crescita (sì,
Davide Donati cresce - e il raffronto tra la sua figura nel primo albo e quella nell’ultimo, fatto avendo in mente il suo percorso lungo tutta la serie, evidenzia con nettezza questa crescita e l’accuratezza con la quale Medda ne ha curato ogni minimo dettaglio psicologico e comportamentale - ma il suo non è un percorso iniziatico avventuroso, è il naturale risultato delle pressioni interne ed esterne della vita
esattamente come essa si svolge). Manca il colpo di scena come ineludibile motore narrativo; manca la conclusione lineare (una storia avventurosa non può avere un finale aperto, inconcluso... a meno che non resti incompiuta come Edwin Drood ;-)); di qui forse la frustrazione di molti lettori, “drogati” in modo irrimediabile dalla necessità dell’evento che dia un significato per sé alla narrazione.
Pagina 96: la realtà collassa

Ma Bonelli vuol dire avventura. Anche un prodotto atipicissimo come i Protagonisti del west era di avventura; e la celebrata collana Un uomo un'avventura si chiamava appunto così. Qui invece per la prima volta un fumetto bonelliano non è avventuroso, pur narrando in tutto e per tutto un'avventura. Se non è scardinare questo, allora non so cosa lo sia. Come è inevitabile, questo lavoro di rimodulazione radicale della natura del fumetto avventuroso (bonelliano) ha tolto la terra di sotto i piedi a molti lettori abituali (bonelliani), spiazzandoli con il sottrar loro la tranquillità del complesso delle regole e abitudini che individuano il modo in cui sono "addestrati" a leggere il fumetto d’avventura (made in Bonelli).

Così, a miniserie ultimata emerge come il primo albo sia stato il solo a rispettare in apparenza quelle regole, ma anche come ciò non sia dovuto alla necessità di non destabilizzare sin dalla partenza quei lettori. Ne Il cielo su Nest Point osserviamo il collasso della quotidianità, e questo può avvenire solo mettendo in campo l’elemento “avventuroso”. Gli albi che seguiranno mostreranno invece, oltre al resto, la ricomposizione secondo nuove/vecchie strutture comportamentali e psicologiche di quella realtà fratturata in apertura. La natura narrativamente “sperimentale” della vicenda sarebbe stata chiara sin da subito, se i nostri occhi fossero stati abbastanza acuti.

La non individuazione di Davide come “eroe” della serie troverà conferma – sottilissima ma in linea con le modalità narrative della serie – negli albi conclusivi e in particolare nell’ultimo: Davide è il personaggio sul quale è appuntata l’attenzione dell’autore, ma non ha nulla di eroico. E’ un ragazzo di cui è raccontata la maturazione in uomo all’interno di un preciso contesto, naturale e realistico: l’”esperimento” accelera gli eventi al massimo e li rende narrativamente fruibili, ma non muta la natura del processo che coinvolge Davide, come ogni adolescente. Del resto è anche ovvio che Davide sia l’”eroe” della sua vita, come è per ciascuno di noi. Ne Il cielo su Nest Point Medda ci fornisce il suo ritratto da cucciolo ;-). Davide è un ragazzino che vive i drammi di una partita di calcio con il senso di tragedia di un adolescente. E Medda è attento non solo a rappresentarlo con occhio realistico e penetrante ma anche in un modo le cui implicazioni saranno chiare davvero solo al termine di Caravan: la natura continua della miniserie emerge in tutta evidenza proprio dalla figura del giovane Donati e dalla sua storia nella più ampia storia.

E’ interessante notare come nel primo albo, strutturalmente il più bonelliano, la posizione di Davide sia del tutto confusa con quella degli altri personaggi, mentre man mano che la sua centralità strategica emergerà Medda verrà allontanandosi sempre i più dai classici schemi del fumetto bonelliano: nel momento in cui più sembrerà affermare una connotazione “eroica” di Davide tanto più la negherà facendo del vero e proprio naturalismo in presa diretta una volta data la situazione immaginaria di partenza, con tutta la confusione e frustrazione (e sano approdo a una armonica pacificazione dei sentimenti) della sua età.

Il primo albo è solo una inconsapevole – per il lettore – introduzione a quel che verrà, siamo davanti alla Porta dell’Inferno, ma quando in finale Davide e gli altri varcheranno i Cancelli dell’Eden non sappiamo (e non sanno) se quella porta e quei cancelli sono stati varcati in un senso o nell’altro. Ciò che sappiamo – e Davide ora sa – è che indipendentemente dal verso quel cammino era da fare, perché in tutta semplicità ce lo impongono il tempo lineare della nostra vita e la complessità della realtà umana che ci circonda. Viceversa, non si cresce.

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