giovedì 13 maggio 2010

Il segno del sogno - Segno di gesso di Miguelanxo Prado


Prima vignetta: dettaglio di un tavolo color ocra, carte bianche stropicciate, si vede il lembo di una mappa, una tazza da caffè con manico è rovesciata e un residuo di liquido ne fuoriesce: tutti gli elementi sono sparpagliati, eccentrici rispetto al fuoco della vignetta.

Inizia così, dopo una tavola di prologo sul mare notturno in tempesta, Segno di gesso (Segni di gesso nella prima pubblicazione italiana, nel 2000, su Lanciostory, storica rivista della fu Eura Editoriale oggi pubblicata dalla editrice Aurea), uno dei punti più alti della troppo rada produzione fumettistica di Miguelanxo Prado, fumettista spagnolo e soprattutto animatore di grande talento. Poche vignette, e agli occhi di Raùl, il protagonista maschile dell’opera, appare il segno di gesso: la lunga banchina bianca di una diga frangiflutti, tutt’uno con il profilo collinoso dell’isoletta sperduta in mare sulla quale troneggia un faro abbandonato. Quella lama candida che marca l’approdo alla dimensione del possibile, confine tra sogno e realtà. Zoom, e la vignetta successiva, l’ultima della prima tavola, ci mostra un’inquadratura più ravvicinata di quella bianca linea sottile. Così, nel minimale raccoglimento di una tavola muta, dove il tono emozionale è dettato dalle inflessioni cromatiche e di luce e dalla trama fine del disegno (come per altro in tutta l’opera), veniamo introdotti in una storia dove conteranno la variazione lieve ma palpabile e piena di sottintesi dei sentimenti, la ricchezza tonale ed espressiva del colore e della pennellata che modulano arpeggi di senso profondo, il dipanarsi enigmatico di una storia che all’apparenza si regge su episodi che si accumulano senza un o una fine, ma che cela una visione coerente della vita e dell’amore, né amara né malinconica - e neppure una semplice sintesi delle due: una compresenza conflittuale di amarezza e malinconia; di dolore e speranza; di sogno e realtà. Dal naturalismo di quella prima vignetta si comincia a trapassare in una dimensione dove la realtà si confonderà con l’illusione, un’illusione dai contorni tuttavia molto materici, dove la leggerezza si scoperchia su un vigore, un turbinare di emozioni calde e appassionate.
 Miguelanxo Prado

Vi è nel racconto una tenuità tutta apparente che sotto le mentite spoglie di quella leggerezza narrativa nasconde l’abilità con la quale Prado va a scavare nell’intimo del lettore risvegliandone corde neglette o semplicemente assopite; risvegliandone la capacità di vibrare al giusto tocco. E il giusto tocco è questa affabulazione sottile e acuminata, il modo in cui egli mette a nudo senza pietà i suoi personaggi e i loro pensieri mentre al contempo trasporta il lettore in un genuino straniamento dove le coordinate temporali e spaziali perdono di significato, sostituite dai desideri inespressi e repressi che emergono alla vita, con tutto il carico di sofferenza che un parto, anche non fisico, comporta.

Più di una volta, componendo un preciso percorso di senso, Prado farà uso di vignette analoghe alla prima, vignette dove a un punto focale privo di oggetti, nudo, fa corona un florilegio di elementi minimali, quasi rifiuti. E’ in quel centro di nessuno che pare collocarsi l’isola dove approda Raùl. Topos d’eccellenza, l’isolotto non è segnato sulle mappe, e l’uomo vi arriva per caso: è quando ci perdiamo che possiamo raggiungere la libera dimensione dei nostri sogni e desideri? Sara gestisce sull’isoletta una locanda/emporio; insieme al figlio Dimas, una sorta di inquietante psicopatico che si diverte a uccidere i gabbiani dell’isola, ella rappresenta la totalità degli abitanti dello scoglio con faro. Al momento, la locanda ospita Ana, una giovane donna elegante dall’aria inquieta e umbratile. I quattro sono i personaggi principali di questo dramma onirico.
 Raùl

Le danze si aprono subito, con Raùl che si innamora di Ana appena la incontra, e lei che lo respinge quasi con fastidio. La donna è giunta sull’isola, o meglio vi è tornata, sulla scorta di un messaggio trovato graffito nella visita precedente sul candore del muro del frangiflutti; da frammenti di suoi pensieri intuiamo che esso deve essere stato scritto da un uomo di nome Raùl. Il nucleo di Segno di gesso è il ritmato rincorrersi, avvicinarsi e allontanarsi dei due.

La debolezza di Raùl dinnanzi ad Ana; il turbamento, quasi l’angoscia di Ana tormentata dall’idea del messaggio, dall’ansia di un sentimento che non riesce a realizzarsi; la presenza sensuale e animalesca di Sara che farà breccia nel momento di massima fragilità di Raùl; l’incombere della minaccia primordiale di Dimas, questo cacciatore rituale di uccelli marini, quasi lo sciamano di una religione sanguinaria. E in seguito l’irruzione della violenza esterna con l’arrivo sull’isola di una coppia di delinquenti che tenteranno di stuprare Ana e poi violenteranno Sara e picchieranno Raùl - questi sono gli elementi architettonici all’interno dei quali prende forma il rapporto Ana/Raùl. Conflitto; amore; insofferenza; attrazione: nel quadro di una realtà che resta sospesa nella bolla atemporale dell’isola, dove le date del lungo giugno di attesa di Ana vengono scandite senza mai assumere concretezza. Fino a che la realtà si sfilaccerà del tutto.
Ana

Vediamo (o forse crediamo di vedere?) Dimas vendicare la madre uccidendo i suoi due violentatori; vediamo Raùl abbandonare l’isola sulla convinzione di aver perduto ogni speranza di veder ricambiato il suo amore per Ana. Vediamo Ana, dopo la partenza nottetempo dell’uomo, partire a sua volta, nella convinzione che quell’uomo di nome Raùl non arriverà mai, e che Raùl – quello ormai fuggito via – è infine perduto. Si giunge così all’ultimo episodio della storia. Raùl torna sull’isola, convinto alla buonora di dover tentare a ogni costo di recuperare l’occasione perduta con Ana. Qui Sara dà mostra di non riconoscerlo, e di non sapere chi sia Ana, e non pare fingere; qui Raùl incrocerà, senza che neppure loro diano segno di riconoscerlo, i due violentatori di Sara che lo avevano malmenato. Qui, infine, , tra i molti altri messaggi opera di tante mani, Raùl vergherà sul foglio bianco del frangiflutti questa frase:

Ana. Tornerò il prossimo giugno e ti aspetterò. Ti amo Raùl.

Prima di tentare di dare un significato alla straniante circolarità di questa storia è forse opportuno chiedersi se abbia senso farlo. Se non sia forse una migliore scelta decidere di abbandonarsi al solo piacere del fluire del racconto, lasciarsi ammaliare dal languore del sogno messo in scena. L’una cosa non esclude l’altra. Così la storia di Ana e Raùl ci suggerisce che si possa vivere per sognare come Raùl e contemporaneamente sognare di vivere i propri desideri come Ana, senza che le due cose arrivino a coincidere mai, nei loro percorsi occasionalmente tangenti, ma mai intersecantisi o tanto meno sovrapposti. Ma è parimenti possibile individuare questo significato e disinteressarsene focalizzando l’attenzione sui risvolti puramente sensuali della lettura - è un modo anch’esso di sognare di vivere i propri desideri.

Lettura che è visuale in primo luogo.

Perché Segni di gesso sarebbe una storia del tutto differente senza il tratto impressionista del suo autore, senza le suggestioni della tessitura emozionale della narrazione scandite dai colori delle tavole, dall’alternarsi delle tonalità ora cupe, ora fredde, ora ansiogene, ora calde di vita.

Segno di gesso è stato raccolto in volume nel 2008 per i tipi della 001 Edizioni.
Raùl e Sara

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