lunedì 10 maggio 2010

Horror vacui - "La Mantide" Julia n.140


Giancarlo Berardi deve essere un uomo serafico. Solo così si può spiegare come egli sappia controllare ogni dettaglio delle storie di Julia lasciando fluire in lentezza e compassata geometria narrativa il ritmo espositivo fino a concludere in apparenza la trama, per poi colpire il lettore con la rivelazione finale che confuta quell’apparenza. Colpire il lettore con la rivelazione finale. E’ bene non intendere in senso immediato: Berardi, qui ben coadiuvato alla sceneggiatura da Lorenzo Calza, di rado cede alla corrività di una rivelazione épatante. Il colpo, la rivelazione, non sono tesi al bell’effetto, a cogliere di sorpresa o provocare forte emozioni. Possono certamente risultare anche in questo, ma non è l’obiettivo. Ciò che conta è l’approfondimento di quella geometricità compassata, spesso nel senso di un’amarezza che coglie al disvelamento – o meglio al riconoscimento – di una realtà che è più dura da accettare di quella prospettata in prima battuta.

E’ così anche nel doppio finale di questo La Mantide. Pagina su pagina Berardi regge le fila di più di una sottotrama, giungendo non tanto a scioglierle tutte, quanto a scioglierle di conseguenza, portandole a congiungersi nel meccanismo logico voluto. E a giocare una volta di più con le convenzioni di genere, le aspettative dei lettori di poca fantasia e in ultima analisi con sé stesso e quel passato incarnato da Ken Parker, un personaggio che contemporaneamente è agli antipodi e occupa lo stesso spazio di Julia: la stessa telecamera fissa sulla nostra realtà; la differenza che passa tra gli entusiasmi energici della gioventù e la riflessività e pacatezza di una vera maturità. Il giallo e il noir sarebbero strumenti privilegiati di analisi del reale, si dice; Berardi se mai ribalta la questione e arriva a ben altra complessità: fa romanzo realistico, naturalistico; a volte dissezionando i meccanismi di genere. La “Mantide” uccide, o meglio infetta con il virus dell’HIV, ragazzi giovani, atletici, pieni di vita. Ma Herb Triumph, uno di loro suicidatosi alla notizia della sua sieropositività, risulta non esserlo mai stato: qualcuno ha taroccato il referto delle sue analisi. In un’orgia di moralismi e luoghi comuni, attribuire l’azione alla “Mantide”, ormai smascherata, è ovvio; ma il tarlo che nega a Julia Kendall la soddisfazione geometrica per la soluzione del caso si rivela corretto – anche se Julia non avrà nessuna parte attiva nella soluzione reale. La morte di Herb Triumph ha motivazioni molto più vuote e stupide della vendetta di una povera psicopatica. E tutti i pronunciamenti moralistici del primo finale vengono ora esposti a nudo nella loro vacuità e stupidità speculari a quelle degli autori dello scherzo che costa la vita al fragile Herb.
Giancarlo Berardi

Ora, né l’identità della “Mantide” né quella dei reali istigatori del suicidio di Herb ha importanza. Il punto saliente è l’irrisione del moralismo, della pronta condanna del “mostro”. Berardi svia il lettore dandogli in pasto una prova generale con la storia della vita di Maggie Blair, che nel classico crescendo di cliché è sospettata, con quel che segue, di essere il “mostro”, per poi rivelarsi innocente. Talmente stereotipato da dover insospettire. E il lettore abbocca: quando Urma Malden si rivela inoppugnabilmente la “Mantide”, è naturale attribuirle anche il crimine reputato più infame (e anche qui ci sarebbe da discutere…): appunto l’istigazione al suicidio di Herb. E Berardi ci va giù pesante con i cliché. Ma nelle pagine finali metterà alla berlina non tanto quegli stereotipi, quanto la prontezza del lettore – disattento – nel denunciarli nell’autore. Poi, con mano leggerissima, propone una realtà più agra di quella del “mostro” a tutto tondo. Ma lo farà, dopo tutti i rigiramenti della frittata, in modo che essa filtri a un lettore che si è in certo qual modo arreso, che non oppone più il proprio smaliziato armamentario di conoscenze del genere, ed è pronto ad accogliere la nuda semplicità della lezione. Ed è appunto con questa semplicità che Berardi fa a pezzi le convenzioni del genere, non puro orpello per la storia realistica, ma gioco intellettuale che vi si incastra e che va sgangherato nei suoi banali meccanismi.

A precedere questo finale multiplo c’è la polpa di una storia costruita quasi con maniacalità per giungere al risultato voluto. Una storia, tuttavia, ricca anche di digressioni che ne spezzano il ritmo permettendo a un tempo di confondere il lettore e di rendergli più agevole la lettura di una trama altrimenti troppo cupa: il tema della nuova vicina di casa di Julia è trattato con magistrale ironia e una vena di crudeltà che incanta. C’è la polpa di una galleria di personaggi schizzati a volte con rapidi tratti, ma che non vediamo dissimili da coloro che incontriamo per strada o davanti a noi nella fila all’ufficio postale. Una storia normale, per Julia, pienamente nella media…

La Mantide: soggetto di Giancarlo Berardi; sceneggiatura di Giancarlo Berardi e Lorenzo Calza; disegni di Marco Foderà e Thomas Campi – albo di Julia n.140, maggio 2010, in edicola per Sergio Bonelli Editore.       

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